sabato 22 aprile 2017

Cupola di sartù con vellutata ai formaggi






La sfida MTC n. 65, proposta da Marina, mi riempie di giocosità per l’evidente cuginanza del Sartù con l’Arancino. 

A ben pensare, sono poche le differenze tra i due piatti, poche come quelle dei vulcani che sovrastano le città madri (Napoli-Catania); entrambi però, con il loro sano riso - come quando nei rigori dell'inverno la neve li ricopre - rassicurano abitanti e commensali. Ma la sorpresa, a volte drammatica, di un'eruzione è sempre dietro l'angolo, di più in Sicilia, e allora una colata di sapori, una nube di profumi, riempiono il palato del commensale, sorpreso ma non troppo di questo gusto pieno, avvolgente, che quanto alle pendici del Vesuvio, quanto a quelle dell'Etna, reclamono il bis.

Come immagino molti di voi, anch'io non conoscevo il Sartù, ma dopo averlo assaggiato (a breve, penso di realizzarne altri, soprattutto il classico), credo che ben rappresenti le mie inclinazioni emulative in cucina, ma soprattutto i mie gusti “salati”. Il Sartù di riso è un piatto tipico della cucina napoletana.
Si prepara con riso condito con ragù, piselli, funghi, fior di latte o provola, polpettine di carne, salsicce e, tradizionalmente, con fegatini di pollo. Il tutto viene infornato e quindi sformato prima di essere servito.
Si può presentare in sia nella versione al sugo, con ragù, che in bianco, senza.







Io ho preferito la versione bianca (ad omaggio partenopeo niente lava), nelle monoporzioni – più sfiziose nella presentazione, utili a perimetrare grassi e calorie – adagiata su una seducente crema di formaggi.




Con questa ricetta partecipo partecipo all’MTC n.65



Ingredienti:

Per il riso:

300 g di riso carnaroli
una noce di burro
2 uova
3 cucchiai colmi di parmigiano
burro per ungere gli stampi
pangrattato


Per il ripieno

pollo in brodo disossato
polpettine di carne cotte in brodo
20 g di funghi secchi ammollati e strizzati
caciotta a dadini
cipolla
olio
vino bianco
sale e pepe


Brodo di pollo

1 kg di pollo a pezzi
1 cipolla
1 carota
alloro
sale e pepe

In una pentola mettete il pollo a pezzi con 1 1/2 l di acqua fredda, portate ad ebollizione e schiumate bene. Dopodiché unite la cipolla, la carota, l'alloro, il sale e il pepe e fate cuocere per un' ora.


Polpettine di carne

300 g di carne macinata di vitello 
50 g di parmigiano
1 uovo
trito di mezza cipolla, prezzemolo, sedano e carota
50 g di mollica di pane bagnata e strizzata

Amalgamate bene tutti gli ingredienti e formate delle piccole polpette, passatele nel parmigiano grattugiato e cuocetele in un tegame con una parte del brodo di pollo già preparato.






Vellutata ai formaggi

3/4 di l di brodo di pollo
80 g di burro
2 tuorli
2 cucchiai pieni di farina
250 g di caciotta grattugiata
80 g di parmigiano

In un pentolino sciogliete il burro, aggiungete la farina e mescolate con una frusta per evitare che si formino grumi. Sempre continuando a mescolare, aggiungete il brodo di pollo e portate ad ebollizione. Togliete dal fuoco, fate intiepidire e aggiungete i tuorli (uno per volta) e sempre mescolando il parmigiano e la caciotta. Riportate sul fuoco e fate addensare.





Procedimento:

Stufate la cipolla con poca acqua alla volta fino a quando sarà morbida, aggiungete un filo d'olio e il pollo disossato e fatto a pezzetti. Rosolate e sfumate con del vino bianco, salate e pepate.
Aggiungete i funghi secchi, fate insaporire e unite un mestolo di brodo caldo e un po' di acqua d'ammollo dei funghi. Fate cuocere fino ad addensare.

Cuocete il riso in 800 g circa di acqua salata con una noce di burro per 3/4 della cottura prevista sulla scatola dello stesso riso. A fine cottura vedrete che il riso avrà assorbito tutta l'acqua. Fate intiepidire e mantecatelo con parmigiano e le uova (al solito uno per volta).

Prendete gli stampini (con 300 g di riso ne ho realizzati 3), imburrateli con le mani, e cospargeteli con il pangrattato. Rivestiteli di riso, mettete al centro uno strato di pollo con i funghi, le polpettine, la caciotta e ricoprite con un altro strato di pollo con i funghi. Versate il rimanente riso, fino a sigillare lo stampo e infornate a 180 gradi per mezz'ora.
Sfornate e servite con la vellutata ai formaggi.


sabato 25 marzo 2017

Terrina di carne in crosta con scalogni croccanti e salsa di yogurt greco






Mese che va, sfida che viene. MTC n.64: Le Terrine.

La sfida di questo mese è proposta da Giuliana de La Gallina Vintage vincitrice della sfida n. 63 Il Pollo Fritto

Questo mese non sono molto soddisfatta, avrei preferito proporre la ricetta utilizzando l'apposito contenitore da forno con coperchio forato, la terrina, senza ricorrere allo stampo da plumcake che ha comportato che il composto di carne fosse rivestito "in crosta di pane"; a nulla è valso il mio tour-shopping, nessun negozio o magazzino disponeva di terrine. L'unica soluzione, dunque, era acquistarla on line, ma era ormai troppo tardi...
E pazienza ci riproverò, perchè stampi a parte, è davvero una bella sfida, e devo ammettere che la terrina di carne in crosta vanta un magnifico effetto visivo, nonchè uno strutturato sapore.

La mia ricetta è una terrina di vitello e maiale racchiusa in una crosta di pâte à foncer. Ho preparato come contorni degli scalogni croccanti all'aceto balsamico e una salsa - che rinfrescasse il palato dal sapore intenso delle carni - di yogurt greco e "ciuffo dei finocchi".

Tagliando le fette, purtroppo ho registrato un piccolo neo: avendo utilizzato poca gelatina (la cui funzione è quella di cuscinetto tra gli ingredienti), si notava dello spazio vuoto tra la carne e la crosta.







Con questa ricetta partecipo all'MTC n. 64





Ingredienti:

Per uno stampo da plumcake 25 x 11:

400 g di carne di vitello macinata
200 g di carne di maiale macinata
200 g di guanciale a fettine
1 uovo
noce moscata
sale - pepe 
frittatina di "mazzaredde" verdura selvatica amarostica tipica dell'ennese

Per la gelatina
500 ml di acqua
2 cucchiai di vino bianco
1 foglio di gelatina

Per la pâte à foncer:
250 g di farina debole
125 g di burro freddo a pezzetti
40 g di acqua fredda
1 cucchiaino di sale
1 cucchiaino di zucchero
1 uovo

1 tuorlo con un cucchiaio di latte per la doratura
  

Preparate innanzitutto la pasta. Setacciate la farina con il sale e lo zucchero sul piano di lavoro e fate la fontana: aggiungete il burro tagliato a dadini e l'uovo e iniziate a lavorare con la punta delle dita; alla fine unite l'acqua e manipolate l'impasto velocemente senza lavorarlo molto.
Separate 1/3 dal totale e avvolgete le due palle di impasto separatamente nella pellicola e lasciate riposare per almeno 30 minuti in frigorifero.

Impastate la carne (sia il maiale che il vitello erano state macinate insieme) con l'uovo, sale, pepe e noce moscata.
Trascorsa la mezz'ora prendete lo stampo scelto, imburratelo (io ho scelto uno classico da plumcake da cm 25x11) e foderatelo con la pasta stesa con il mattarello (ovviamente i 2/3 del totale dell'impasto) lasciando debordare l'eccesso. 
Rivestite l'interno con il guanciale a fettine e ponete metà dell'impasto di carne. Allineate le striscioline di frittata (verdura bollita in acqua salata, fatta asciugare in padella. Insaporita con olio evo e portata a compimento con l'aggiunta di 2 uova sbattute) e coprite con il resto della carne stando attenti a non riempire fino all'orlo lo stampo.
Ripiegate il guanciale sul ripieno e comprimete il tutto. 
Tirate la pasta avanzata  e ricoprite la terrina, con un coltellino a lama liscia refilate i bordi e sigillateli bene con i rebbi di una forchetta.
 
Dai ritagli di pasta avanzati ricavate dei motivi e appoggiateli sulla pasta.
Spennellate la superficie con il tuorlo leggermente sbattuto con un cucchiaio di latte.
Preparate il camino con un piccolo coppapasta (io ho usato una bocchetta da sac à poche)e premetelo leggermente nel centro della terrina;eliminate la pasta che il coppapasta ha tagliato e reinseritelo (resterà inserito anche durante la cottura).

Mettete in forno preriscaldato a 180º per 30 minuti, poi abbassate a 160º e cuocere 50/55 minuti. Se la superficie dovesse scurirsi troppo coprite con un foglio di alluminio.

Verso fine cottura preparare la gelatina seguendo le istruzioni riportate sulla confezione (ho solo sostituito 2 cucchiai di acqua con 2 cucchiai di vino bianco)


Sfornate la terrina, lasciatela  raffreddare poi con delicatezza toglietela dallo stampo. 
Controllate il camino e se vedete del liquido, cercate di eliminarlo inclinando la terrina, sempre con le dovute cautele, perchè la pasta è comunque delicata e si rischia di rovinarla.
Una volta eliminato il liquido in superficie, con l'ausilio di una piccola brocca o  un imbutino, versate la gelatina pian piano, quanta ne riceve, e se ne riceve.

Lasciate che l'interno si assesti, e trasferitela in frigorifero. Tagliatela dopo un giorno almeno.







Scalogni croccanti all'aceto balsamico

10 scalogni tagliati a metà
2 cucchiai di olio evo
1 cucchiaio di zucchero di canna
aceto balsamico p.b.
acqua q.b.

Fate insaporire gli scalogni con l'olio d'oliva, aggiungete un po' d'acqua, quanto basta per cuocerli ma non a lungo, devono rimanere croccanti.
Spolverizzateli con zucchero di canna e per ultimo aggiungete l'aceto balsamico.
Fate insaporire e spegnete. Vanno serviti freddi.

Salsa di yogurt greco con ciuffi di finocchio

1 confezione di yogurt greco senza grassi
1 cucchiaino di olio evo
sale 
ciuffetti di finocchio tritati

Amalgamate semplicemente tutti gli ingredienti e ponete in frigo per un paio d'ore affinchè i sapori possano amalgamarsi.

 










 


lunedì 20 marzo 2017

Le sfingi di San Giuseppe







A San Giuseppe, a Leonforte sacro e profano si incontrano. Nel viatico di sacrificio e di ringraziamento, il popolo di devoti, ingozzandosi di polpette di finocchietto selvatico, cardi in pastella e altri prodotti di origine contadina (il tutto inaffiato da abbondanti vini padronali), in ultimo non disdegna il dolce.
E voilà! Dalla crepitante frittura di olio d'oliva zampillano dorate biglie di pasta lievitata.

Approfondimenti dal web:

"L'Artara di San Giuseppe a Leonforte è una tradizione lunga 400 anni. Le Tavolate sparse in tutto il territorio comunale vengono invase da tanti viaggiatori che giungono nella città della Granfonte per una delle feste più sentite dalla comunità.


Numerosi gli altari che a partire dal pomeriggio del 18 marzo vengono visitati da tantissime persone che giungeranno a Leonforte per trascorrere una serata all’insegna della devozione ma anche per gustare vini, cardi, sfingi, finocchi, “pupidduzzi” (il noto pane benedetto) ed altri prodotti tipici offerti e distribuiti gratuitamente dagli organizzatori. 
Per tutta la notte fino alle prime luci dell’alba, una moltitudine di gruppi festosi si riversa per le antiche strade di Leonforte impegnata a "girari l’Artara". Un lungo peregrinare alla ricerca degli altari segnalati, un tempo con una semplice scatola di scarpe foderata e illuminata su cui si leggega W S.G. (Viva San Giuseppe), oggi magari sostituita da una stella punteggiata di numerose luci.


Gli altari o tavolate sono realizzate da chi ha "fatto voto” e consistono in una grande tavola imbandita oltre che di pane lavorato in particolarissime foggie (le “cuddure”) anche dei più disparati alimenti, primizie, bevande, dolciumi. Il pane è sicuramente l’elemento fondamentale dell’altare, ed agli inizi doveva di certo rappresentare la ragion d’essere dell’altare stesso per il significato atavico che vi si attribuiva di “Grazia di Dio”.


Questi enormi pani che troneggiano sulle tavolate, vengono confezionati con squisita arte dalle massaie del vicinato e rappresentano vere e proprie sculture riproducenti santi o istoriati con fregi e motivi vegetali. La preparazione dell’altare, appunto, richiede l’apporto e lo sforzo dell’intero vicinato (S. Giuseppi voli traficu: S. Giuseppe esige un estenuante lavoro) oltre che per la lavorazione del pane, anche per la preparazione delle varie frittate di cardi e finocchi, di sfingi, fave, ceci bolliti, non tutta roba che andrà a finire sull’altare, bensì distribuita alle centinaia di visitatori durante la lunga veglia del 18 marzo. L’altare viene concluso dal “cielo”, ovvero da un drappeggio di veli da sposa disposti ad arte come un baldacchino, e da una immagine del Santo posta, tra i veli, proprio di fronte.


La lunga notte della girata dill’Artari
Quando Leonforte è letteralmente invasa da una moltitudine di visitatori provenienti da ogni parte della Sicilia. Per ogni parte si avverte il tramestio di persone e di gruppi che si incontrano, si aggregano, si separano. Si assiste ad una coloratissima, variegata umanità che, magari accalcandosi per guadagnare l’accesso ad anguste casette del centro storico, raggiunge faticosamente la stanzetta dove è allestito l’altare.


Lì ci si vedrà coinvolti nella particolarissima coreografia che accoglie i visitatori. I padroni di casa ed i vicini che hanno lavorato saranno in parte sobriamente seduti lungo il muro a fare da cornice all’altare, assiepati nel breve spazio che resta nella stanza; altri si noteranno affaccendati a distribuire pietanze tipiche.


Si potrà anche assistere alla recita delle raziuneddi: preghiere dialettali che narrano la vita di Gesù, di solito dette da intraprendenti ragazzini che così si guadagneranno i pupiddi da portare al collo tenuti insieme da uno spago fatto passare attraverso il foro centrale del pane, fregiandosi di questa insolita collana col medesimo orgoglio con cui un Generale sfoggia le sue mostrine. 
A mezzogiorno del giorno 19, si giunge alla cerimonia conclusiva con la partecipazione dei santi ai quali verrà distribuito quanto imbandito sull’altare. Questi, all’inizio della tradizione, erano reclutati tra le famiglie più indigenti, quando la povertà endemica molto diffusa dava luogo a situazioni desolate di vera fame. Ciò consentiva, ai poveri di ricevere quanto permettesse loro di che sostentarsi per qualche settimana; e all’artefice dell’altare di assolvere al voto fatto. Ad ogni santo, con precisi rituali, viene distribuito un corredo di vivande consistente in un porzione o piatto di ogni cosa, non prima però che il padrone di casa, con un rito che vagamente ricorda quello dell’ultima cena, abbia provveduto loro alla lavanda ed al bacio dei piedi."



Sfingi di San Giuseppe


Ingredienti:

1 Kg di farina 00
500 g di patate bollite
3 cucchiai di zucchero
acqua tiepida q.b.
1 cucchiaino di sale
1 bustina di lievito disidratato


Setacciate la farina e aggiungete la bustina del lievito. Unite le patate, lo zucchero e il sale e lavorate per dieci minuti circa con acqua tiepida quanto basta. L'impasto deve risultare molle.
Mettete a lievitare fino al raddoppio.
In un ampio tegame mettete l'olio d'oliva, indi fatelo riscaldare bene e iniziate a versate l'impasto con un cucchiaio in modo che si creino delle "palline".
Fatele scolare su carta assorbente e poi cospargetele di abbondante zucchero.

mercoledì 15 marzo 2017

Focaccia barese





All'improvviso ti invitano gli amici per un pranzo informale a base di "Cacuoccioli  arrustuti" e salsiccia alla brace; tutto sembra voler favorire il primo tiepido sole primaverile, essendo stati accesi i complici carboni su di un attico prospiciente il mare di Aci Castello. Tu che fai? Cosa porti a casa dei tuoi amici, risparmiando oro il canonico dessert? Allora penso ad una succulenta focaccia barese (meglio ancora se farcita da profumata mortadella).
Ma sì, facciamoci del male, che alla dieta c'è sempre tempo.


Focaccia barese senza patate


Ingredienti

300 g farina 0
200 g semola rimacinata
400 ml acqua tiepida
50 ml olio evo
14 g sale
6 g zucchero
una bustina di lievito di birra disidrataro
olive baresane in salamoia
pomodorini
origano


Setacciate le due farine in una ciotola e incorporate il lievito e lo zucchero e mescolate. Aggiungete l'olio e man mano l'acqua tiepida e solo alla fine il sale.
Impastate per una decina di minuti (l'impasto deve risultare piuttosto molle ma ben incordato) e mettete a livitare in un luogo piuttosto caldo.
Dopo un'oretta versate l'impasto nell'apposita teglia unta con abbondante olio e lasciare riposare, coperto con della pellicola, per almeno un quarto d'ora.
Accendete il forno alla massima potenza e iniziate a stendere l'impasto con i polpastrelli unti d'olio dal centro verso l'esterno, condite con pomodorini tagliati a metà e disposti con la buccia verso l'alto, le olive e l'origano. Completate mettendo un pizzico di sale sui pomodori e irrorate con olio d'oliva.
Infornate per 12 minuti nella parte bassa del forno (senza griglia) e poi passate la teglia per altri 10 minuti nella parte centrale del forno fino a quando la superficie sia ben colorita e i pomodorini un po' bruciacchiati.
Una volta sfornata lasciate intiepidire coperta da un canovaccio.